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Ecco a seguire alcuni basilari e semplici testi che potete consultare per vivere al meglio con il vostro amico a 4 zampe!
Ve li suggerisco nell'ideale ordine di lettura,
dal più semplice... al più complesso


- La comunicazione del cane, Alexa Capra (2007, ed. Calderini)
- Come diventare il migliore amico del tuo cane, John Bradshaw (2011, ed. Rizzoli)
- Compagni di viaggio, Alexa Capra (2009, ed. Calderini)
- Dominanza: realtà o mito, Barry Eaton (2002, ed. Haqihana)
- Cambia la tua mente,
Alexa Capra (2015 ed. Skilladin)


da Né ammaestrato né ammaestratore, in Abbaiare stanca, di Daniel Pennac (1982)
D’altronde, che cosa ho da dire io? Poche cose. E che riguardano soprattutto gli uomini. Questa, per esempio: se avete un cane, o quando ne avrete uno, non siate, vi prego, né ammaestratori né ammaestrati. Cioè: non siate uno di quei “padroni” tutti fieri di aver trasformato il proprio cane in un tappetino, in una belva o in una bambola meccanica. “guardate com’è intelligente il mio cane” sembra sempre che vi dica quel tipo di gente; e mentre vantano l’intelligenza della loro bestia, sui loro visi di ammaestratori soddisfatti si dipinge una bestialità senza limiti.
Ma non siate nemmeno ammaestrati. Non siate di quelle persone completamente sottomesse alla volontà del cane, che non pensano che a lui, che non parlano che di lui e la cui vita si riassume in questo: possiedono un cane.
Un minimo di ammaestramento è necessario. Ma bisogna intendersi sul significato della parola. Un buon ammaestramento è quello che impone il rispetto della dignità di entrambi. “E che cos’è la dignità per una cane?” mi domanderete voi: è di essere cane. Da questo punto di vista, il buon ammaestratore deve cominciare ad ammaestrare se stesso, cioè a rispettare la dignità del cane che gli vive accanto, se vuole comportarsi lui stesso dignitosamente, da uomo.
In fondo il rispetto delle differenze è la legge stessa dell’amicizia.


da Abbaiare stanca, di Daniel Pennac (1982)
L’Italiano era il capo di tutti i gatti del cimitero. Lo Ienoso (un cane, ndr) lo conosceva da molto tempo. Erano amici. Lo chiamavano l’Italiano perché era il gatto preferito di un vecchio attore italiano, ricchissimo e raffinato, che nutriva i suoi gatti a salmone, fagiano e caviale russo. “Uno scandalo” mormoravano i vicini, “con tanta gente che muore di fame!”, ma la porta dell’attore era aperta a tutti, mentre quella dei vicini erano pieni di paletti e catenacci. 
Di giorno l’Italiano viveva con l’Attore insieme all’Egiziana, l’Artista e la Rosi, i suoi tre amici. L’Artista era il gatto nero e morbido che poco prima stava decorando la tomba di porfido rosa.  Quella tomba era la tomba della Rosi, una grossa, buona vecchia cagnona vagamente rosata, tenera come una balia, che aveva trascorso i suoi diciotto anni di vita con l’Attore. A furia di vivere, la Rosi aveva finito per non avere più fiato. Ogni giorno saliva le scale più lentamente, tirando fuori la lingua sempre più lunga. Riusciva appena a respirare. E poi, una mattina, quando l’Italiano si era svegliato ed era andato a strofinarsi contro di lei facendo le fusa, la Rosi non aveva mosso la coda né arricciato il muso e neanche aperto un occhio. Aveva semplicemente smesso di respirare. Le era diventato troppo difficile. 
Incredibile, quanto aveva pianto l’Attore!
“Tante lacrime per la morte di una bestia!” sghignazzavano i vicini che, dal canto loro, aspettavano con la massima tranquillità l’eredità delle loro nonne.

 
 

 
 

 

 
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